7 cose che insegna davvero l’Erasmus

Cari amici poliglotti,

non sono qua per insegnarvi come comportarsi in Erasmus: chi l’ha vissuto sa che vale la regola del “quel che accade in Erasmus, resta in Erasmus”. Non sto per darvi consigli su cosa mettere in valigia prima di partire, ne tantomeno per rifilarvi la solfa che sentirete da tutti coloro che vogliono promuovere, a buon ragione, questo programma (e cioè di quanto si imparino a conoscere le lingue, le culture e le genti del mondo). Ho in mente ben altro.

Sono passati quattro anni da quando iniziai il mio Erasmus: oltre all’avventura in sè (che chiaramente è il momento apice), non potevo però immaginare quanto avrei potuto imparare anche a posteriori da ciò che ho vissuto e rivedendo le mie esperienze passate nelle nuove generazioni.

L’Erasmus è sì un soggiorno internazionale in un paese straniero, ma è prima di tutto un grosso salto nel vuoto. Niente vi preparerà a ciò che vi aspetta oltre confine, per il solo fatto che non vi siete ancora messi in quei panni e non potete immaginare il modo in cui la vostra routine e le vostre relazioni cambieranno. Se la possibilità di un così grande e radicale cambiamento può forse fungere da deterrente per gli indecisi, lasciate però che vi racconti degli aspetti in cui questo programma fa crescere. E non intendo solo il far crescere competenze spendibili sul lavoro, bensì che costituisca a tutti gli effetti una scuola di vita. Erasmus per me ha significato:

1) Libertà: è stato il primo momento della mia vita in cui mi sono sentita togliere come un peso dalla coscienza. E allora mi sono resa conto di quali fossero le responsabilità nella vita che conducevo in Italia: a partire dai miei doveri di studentessa, ma non solo. Avevo amici, una famiglia e persone che mi sostenevano, per i quali però ero pur sempre io, con i miei sogni e le mie debolezze.

Per la prima volta, in quel frangente, avevo l’opportunità di ricominciare da zero: conoscere persone nuove che non sapevano nulla di me e del mondo in cui ero cresciuta e ricrearmi una vita dal principio. E cercare di essere la persona che avrei voluto essere. Con la libertà è arrivata però anche una responsabilità nelle scelte che ho compiuto: come ad esempio quella di non frequentare italiani durante il mio soggiorno, dove altrimenti una comunicazione più facile e un’atmosfera più “di casa” sarebbero andati a scapito dell’effettiva riuscita del progetto (nel mio caso, imparare adeguatamente la lingua).

Ciò che mi ha insegnato l’allentarsi dei vincoli con le nostre origini è stato che ogni viaggio, o meglio, ogni trasferimento, ha con sè il potenziale per un nuovo inizio. Sta a noi decidere come sfruttarlo.

2) Imparare a gestire le amicizie: non sapevo quali e quante persone avrei potuto annoverare nel mio circolo di amicizie prima di trovarmi in terra straniera, senza un viso noto su cui fare affidamento immediato. Chiaro, le persone non si dimenticano di noi quando siamo via, credo semplicemente che abbiano modi diversi di gestire la lontananza. E’ difficile spiegarlo a chi non c’è ancora passato: ma cambiare ambiente e ritrovarsi altrove senza le solite relazioni sociali (e senza la speranza di poterle riprendere in tempi brevi che non siano mesi) mette a dura prova la nostra sensibilità.

Per questo ad esempio molti italiani, data la mancanza di amicizie immediate nel luogo d’arrivo e lo scoglio di una lingua straniera, si rifugiano nei circoli di connazionali, per cercare quanto meno una comunicazione più facile con chi parla la nostra lingua, di modo da poter stringere prima amicizia.

Ma oltre all’aspetto delle rapporti che più o meno consapevolmente decidiamo di instaurare in Erasmus, importante è quello dei nostri legami in terra natia. Infatti sono pochi (oltre ai familiari) quelli che tengono stretti contatti con chi parte e lì si impara a conoscere la differenza tra vero interesse e condivisione di una routine: nel momento in cui quest’ultima cessa di esistere perchè ci spostiamo, allora smettiamo di avere contatti con determinate persone. Che magari non mancheranno di riaccoglierci calorosamente al ritorno in patria, ma che rimarranno pur sempre inconsapevoli di quell’enorme parentesi che nel mentre ci siamo creati nelle nostre vite. E saranno probabilmente questi gli stessi che ci rivolgeranno domande generiche e un po’ banali, perchè poco è quello che sanno di noi e della nostra vita all’estero. Partire non significa perdere gli amici, ma capire su chi poter fare davvero affidamento.

3) Fare nuove scoperte: venire a contatto con un ambiente e con persone nuove destabilizza le nostre credenze. Ci sorprendiamo di quanto ci sia da vedere e conoscere oltre il nostro orizzonte. In Erasmus possiamo condurre una vita sempre più ricca, e qui non parlo del poter avere soldi da spendere grazie una borsa di studio (che nel caso degli scambi europei è piuttosto irrisoria se paragonata alle spese che si propone di coprire). La possibilità di viaggiare indipendentemente ed esplorare è, almeno nel mio caso, il carburante che mi ha tenuto all’estero così a lungo e che mi ci ha sempre continuamente portato, anche quando il programma era finito da mo’.

L’adrenalina, la voglia di fare e di mettersi alla prova sono tutte sensazioni che da allora mi accompagnano in ogni esperienza all’estero, consapevole di quanto, con le mie sole forze, possa riuscire a raggiungere, e di quanto mondo mi rimane ancora da conoscere e potenzialmente visitare.

4) Crescita personale: non c’è un’età in cui diventiamo adulti, sono le circostanze, o meglio, l’esperienza a decidere. Il nostro carattere si plasma grazie al nostro vissuto: fatto sta che avere a che fare con altre culture genera conoscenza, che porta a sviluppare anche una certa umiltà. In Erasmus siamo nella posizione di poterci confrontare con persone provenienti da innumerevoli culture diverse: sentiremo storie di gente matta che ha affrontato viaggi fuori di testa o che vive in modi per noi inconcepibili.

E’ proprio questo il punto: il confine di ciò che possiamo arrivare a concepire si espande e il nostro orizzonte di senso si allarga. Cioè sono molti di più gli scenari di vita che ci immaginiamo come possibili, non appena conosciamo qualcuno che li condivida con noi. Ed è per questo che più conosciamo come la gente vive, più saremo in grado di fare un confronto con noi stessi, le nostre abitudini e prospettive di vita, e di capire cosa possiamo fare per adattarle al modo in cui vorremmo essere.

5) Intercultural learning: tanto si dice di quanto l’Erasmus aiuti a conoscere la cultura e a migliorare la lingua del paese ospitante. Niente di più vero, soprattutto per la celerità con cui questo processo si innesta: calati in una realtà in cui non possiamo fare a meno di venire a contatto con la gente del luogo e di parlare la lingua autoctona (a meno di non fare una vita estremamente asociale, ma non è molto il caso in Erasmus), ne va che dobbiamo per forza confrontarci con nostre eventuali carenze linguistiche e comportamenti culturali diversi.

Ma oltre a ciò, siamo soprattutto immersi in un ambiente interculturale senza precedenti, dato che, per la tendenziale organizzazione del programma, ci si trova a condividere tempo e spazi con altri studenti Erasmus dalle origini più disparate. Da qui la possibilità di imparare a non finire: cucina, musica, usanze, sport, brindisi, parolacce in lingua straniera e chi più ne ha, più ne metta.

6) Trovare voglia di fare: messo piede fuori dall’Italia e visto come si vive altrove, sono moltissimi coloro che decidono di tornare all’estero. Aver vissuto il trasferimento una volta aiuta a capire che abbiamo più possibilità di quante ci immaginiamo oltre confine. Quindi oltre ad infonderci una certa sicurezza in noi stessi, credo che l’Erasmus ci aiuti a trovare la carica per metterci di nuovo alla prova, ci renda intraprendenti e ci instilli la voglia di cercare di avere il più possibile dalla vita. Ci insegna insomma a non accontentarci di ciò che ci troviamo pronto davanti, cosa non indifferente se abbiamo al tempo stesso acquisito la sicurezza di poter contare sulla nostra migliore carta: noi stessi.

7) L’importanza dell’andare avanti: non fermarsi è il mantra di chi viaggia. Che non vuol dire non restare fisicamente “troppo” a lungo in un posto o non trovare pace pensando di dover essere sempre on the road. Mi spiego meglio: credo di aver vissuto il periodo più entusiasmante della mia vita in Erasmus, ma poichè l’esperienza aveva una durata prefissata, ho finito col darle ancora più valore.

Si arriva a capire che la vita va avanti, le amicizie passano, i luoghi che visitiamo cambiano e cambiamo noi. Ma mai come dopo aver lasciato la Germania la prima volta al termine del mio programma di scambio, ho avuto fiducia nel fatto di poter ritornare ed essere in grado di spostarmi per il mondo oltre quei confini (badate bene, non solo geografici) che prima mi facevano paura. A quattro anni da quella data ho rivisto amici, rinsaldato legami e visitato luoghi che mai avrei creduto possibile se me l’avessero predetto prima che partissi.

Ogni singola avventura ha un termine, ma l’Erasmus ci aiuta a sentirci cittadini del mondo e darci la spinta per fare qualche “pazzia”: ritrovi internazionali, nuovi trasferimenti o sfide che ci portino a prendere un biglietto per andare a trovare qualcuno anche dall’altra parte del mondo. Con la consapevolezza che possiamo, anzi dobbiamo muoverci: solo spostandoci siamo in grado di tracciare il nostro cammino.

“Caminante, no hay camino, se hace camino al andar.” (Antonio Machado)

 

 

2 pensieri su “7 cose che insegna davvero l’Erasmus

  1. Che bello leggerti ( dico sul serio)!
    A me l’erasmus è servito soprattutto a togliere la polvere da una vita che era diventata troppo ordinaria e ora non sarà mai più come prima
    P.s. La frase di Machado è tra le mie preferite

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